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Provincia Autonoma di Trento - Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente

 

Contratto d'appalto e gestione dei rifiuti: chi è il soggetto responsabile?

Analisi della recente giurisprudenza della Cassazione penale, a cura dell'Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente

Il contratto di appalto è definito dall’art. 1655 del Codice civile come quel negozio a titolo oneroso tramite il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio. In altri termini, un soggetto (appaltatore) s’impegna dietro corrispettivo nei confronti di un altro soggetto (committente o appaltante) per la realizzazione di un lavoro o di un servizio.

A fronte di un siffatto contratto e delle obbligazioni da esso nascenti, per capire chi si debba prendere carico della gestione dei rifiuti e a chi si debbano imputare le relative responsabilità, occorre verificare chi – tra il committente e l’appaltatore – assuma la qualifica di produttore dei rifiuti.

L’art. 183, comma 1, lett. f), del D.Lgs. 152/2006 definisce produttore dei rifiuti “il soggetto la cui attività produce rifiuti e al soggetto alla quale sia giuridicamente riferibile detta produzione (produttore iniziale) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti (nuovo produttore)”. Il produttore, quindi, non è solo chi svolge l’attività da cui decadono i rifiuti, ma anche colui al quale sia giuridicamente riferibile la produzione degli stessi. Il concetto di “riferibilità giuridica” della produzione o gestione dei rifiuti desta notevoli perplessità, in primis perché porta con sé l’inaccettabile rischio di duplicare i produttori e, quindi, i relativi oneri e responsabilità, ma anche perché, rendendo incerta la concreta individuazione del produttore, complica non poco la vita degli operatori del settore.

Più semplice e chiara è, invece, la definizione contenuta nell’art. 3 della Direttiva 2008/98/CE, secondo cui il produttore è “la persona la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale di rifiuti) o chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”. L’attenzione del legislatore comunitario ricade, dunque, sul solo soggetto che pone in essere l’attività materiale da cui decadono i rifiuti, non introducendo alcuna clausola residuale o alternativa di complicata interpretazione.

In linea con l’impostazione della direttiva sui rifiuti – ma non per questo priva di criticità – è la definizione di produttore della recente normativa sulle terre e rocce da scavo. Infatti, l’art. 2, comma 1, lett. r), individua la figura del produttore nel “soggetto la cui attività materiale produce le terre e rocce da scavo”.

L'orientamento consolidato della Cassazione: produttore è l'appaltatore

Dinanzi all’infelice formulazione della definizione di produttore contenuta nel D.Lgs. 152/2006, la Corte di cassazione concentra la sua attenzione sul soggetto che materialmente, tramite la sua attività, produce i rifiuti, omettendo volontariamente di considerare il rischioso concetto di “giuridica riferibilità” della produzione o gestione.

Già con la sentenza 25 maggio 2011 n. 25041 la Suprema Corte aveva affermato, in relazione ad un caso di abbandono di rifiuti, che la qualità di committente – ma lo stesso, precisa la Corte, vale per il direttore dei lavori e dell’appaltante nel caso di subappalto – “non determina alcun obbligo di legge di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta appaltatrice o subappaltatrice ovvero di garantire che la stessa venga effettuata correttamente”, sostenendo, inoltre, che “nessuna fonte legale, né scaturente da norma extrapenale, né da contratto, pone in capo a tali soggetti [ossia: committente, direttore di lavori e appaltante di un subappalto] l'obbligo di garanzia in relazione all'interesse tutelato ed il correlato potere giuridico di impedire che l'appaltatore commetta il reato di abusiva gestione dei rifiuti (…). Sicché, salva l'ipotesi di un diretto concorso nella commissione del reato, non può ravvisarsi alcuna responsabilità a carico di tali soggetti, ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2, per non essere intervenuti al fine di impedire violazioni della normativa in materia di rifiuti da parte della ditta appaltatrice”.

Tale orientamento, ribadito sia nel 2013 (Cass. Pen., Sez. III, sent. 13 settembre 2013, n. 37547), sia nel 2015 (Cass. Pen., Sez. III, sent. 16 marzo 2015, n. 11029), è stato confermato in alcune recenti pronunce.

In particolare, nella sentenza 9 gennaio 2018, n. 223, la Terza Sezione della Cassazione censura l’argomentazione del Tribunale che aveva fatto discendere in maniera automatica la qualifica di produttore di rifiuti da quella di committente. Nel fare ciò, il Collegio afferma il palese contrasto della ricostruzione del Tribunale con l’orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte, in base al quale “in ipotesi di esecuzione di lavori attraverso un contratto di appalto, è l’appaltatore che (…) riveste generalmente la qualità di produttore del rifiuto”.

Qualche giorno dopo, il 16 gennaio 2018 con la sentenza n. 1581, la medesima Terza Sezione ribadisce l’orientamento, questa volta con riguardo al contratto di subappalto (esaminato anche della citata pronuncia del 2011). Per la Corte anche il ragionamento non cambia: “l'appaltante nell'ipotesi del subappalto non ha alcun obbligo giuridico di intervenire nella gestione dei rifiuti prodotti dalla ditta subappaltatrice né di garantire che la stessa venga effettuata correttamente”.

La regola che emerge da questa breve disamina giurisprudenziale è che nel contratto d’appalto – ma ciò, come visto, vale anche con riguardo al subappalto – il produttore dei rifiuti che decadono dall’attività è generalmente l’appaltatore, sul quale, dunque, gravano gli oneri e le responsabilità nascenti dalla gestione dei rifiuti (ad esempio, nel formulario di trasporto dei rifiuti sarà l’appaltatore a figurare come produttore).

D’altronde il committente non ha in astratto alcun potere giuridico di impedire la gestione non conforme dei rifiuti. All’appaltante, infatti, non è normalmente permessa alcuna ingerenza sull’esecuzione dei lavori dell’appaltatore, se non per tutelare il suo personale interesse all’esecuzione della prestazione così come dedotta nel contratto d’appalto: infatti, ai sensi dell’art. 1662 del Codice civile il committente “ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato”.

La responsabilità del committente nel caso di ingerenza sull'attività dell'appaltatore

Tuttavia, il committente non è sempre e comunque esente da ogni profilo di responsabilità in materia di gestione di rifiuti.

Invero, la Corte di cassazione con la sentenza 4 maggio 2018, n. 19152 ha ribadito un orientamento che era già emerso negli ultimi anni: sebbene normalmente il produttore dei rifiuti sia l’appaltatore, sussiste la responsabilità del committente – a titolo di concorso con l’appaltatore – allorquando si abbia una sua ingerenza o un suo controllo diretto sull’esecuzione dei lavori dell’appaltatore.

In altre parole, il contratto d’appalto consente tipicamente una grande autonomia all’appaltatore nell’esecuzione dei lavori e, infatti, in corso d’opera il committente può solo intervenire per tutelare il suo interesse alla realizzazione della prestazione secondo quanto dedotto in sede contrattuale (ovverosia controllare lo stato e svolgimento dei lavori). Tuttavia, l’intromissione nell’attività dell’appaltatore o l’esercizio su di essa di un pregnante controllo diretto, fa sì che si estendano al committente le responsabilità sussistenti in capo all’appaltatore, come quelle in materia di gestione di rifiuti. Ciò, ad esempio, può accadere in tutti i casi in cui il committente mantenga un tale controllo e supervisione dei lavori da fare assurgere l’appaltatore al ruolo di mero esecutore.

LT

 
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