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Provincia Autonoma di Trento - Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente

 

La depenalizzazione con effetti peggiorativi

Un commento dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente alla sentenza della Corte costituzionale del 25 ottobre 2018, n. 223

Con la pronuncia qui commentata la Corte costituzionale interviene sulla legittimità delle norme che prevedono l’applicazione retroattiva di sanzioni amministrative di carattere particolarmente “punitivo”, introdotte in seguito alla depenalizzazione di un reato. Sebbene la fattispecie analizzata dalla Corte riguardi l’applicazione retroattiva, prevista dalla legge 62/2005 [1], di una sanzione accessoria in materia di insider trading finanziario (art. 187 bis del D.Lgs. 58/1998), la questione concerne qualsiasi tipo di illecito amministrativo accompagnato da sanzioni di considerevole entità, come accade sovente in materia ambientale.

Il quadro normativo e i principi elaborati dalla giurisprudenza interna e internazionale

A differenza dei reati, ove il divieto di applicazione retroattiva della legge penale più sfavorevole (c.d. principio di irretroattività in malam partem), discende dal principio di legalità e ha pregnanza costituzionale [2], per quanto concerne le sanzioni amministrative il principio di irretroattività è espresso da una legge – la legge 689/1981 [3] – che, come tale, in linea di massima è liberamente derogabile dal legislatore con una semplice disposizione successiva.

Se questo è il quadro astratto, la realtà è ben più complicata. Da sempre, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo (“Corte EDU”) estende il principio di irretroattività in malam partem – espresso dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (“CEDU”) – a tutti gli illeciti che abbiano sostanzialmente natura penale, a prescindere dalla loro qualifica formale. Per valutare se una sanzione abbia o meno natura penale occorre rifarsi ai cc.dd. “criteri Engel” [4], elaborati e affinati dalla Corte EDU nel corso degli anni, tra i quali: grado di severità della sanzione, entità e gravità delle conseguenze (anche accessorie). Pertanto, una sanzione amministrativa che sia particolarmente afflittiva (ad esempio per l’entità della sanzione pecuniaria o le sanzioni accessorie), dev’essere considerata “sostanzialmente penale” e, come tale, soggetta a tutte garanzie della legge penale, previste sia dalla CEDU, sia dalla Costituzione.

A partire dal 2014 il principio espresso dalla Corte EDU è stato condiviso dalla Corte costituzionale (sentenze n. 104/2014 e 276/2016), che lo ha ripreso anche nella pronuncia in commento: come per le sanzioni penali, dunque, anche per le sanzioni amministrative “si impone l’esigenza – tradizionalmente propria del diritto penale e radicata nell’art. 25, comma 2, Cost. – di non sorprendere la persona con una sanzione non prevedibile alla commissione del fatto”.

La depenalizzazione di un fatto e l’introduzione di un illecito amministrativo

L’applicazione del principio di irretroattività della legge più sfavorevole agli illeciti amministrativi non riguarda solo le sanzioni introdotte ex novo, ma anche quelle risultanti da interventi di depenalizzazione.

Normalmente, le sanzioni amministrative previste al posto di quelle penali dovrebbero applicarsi solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della legge di depenalizzazione, così come del resto prevede il già citato art. 1 della l. 689/1981. Tuttavia, nel depenalizzare un fatto e istituire per il medesimo un nuovo illecito amministrativo, sovente il legislatore si preoccupa d’inserire una disciplina transitoria, con la quale, derogando all’art. 1 della legge 689/1981, prevede l’applicabilità delle neo-introdotte sanzioni amministrative anche ai fatti precedentemente commessi e non ancora definiti con giudicato penale. In altri termini, in questi casi ci si trova dinanzi ad un fenomeno di applicazione retroattiva di una sanzione amministrativa.

La depenalizzazione con effetti peggiorativi e la decisione della Corte

Secondo la Corte costituzionale la suddetta tecnica legislativa è indubbiamente immune da censure di legittimità in tutti i casi in cui il trattamento sanzionatorio previsto per l’illecito amministrativo risulta migliorativo rispetto al precedente trattamento penale.

Il maggior favore delle sanzioni amministrative rispetto a quelle penali è normalmente ricorrente, ma non può essere dato sempre per scontato e dev’essere valutato caso per caso. Per la Consulta, infatti, “il generale maggior favore di un apparato sanzionatorio di natura formalmente amministrativa rispetto all’apparato sanzionatorio previsto per i reati non può essere dato per pacifico in ogni singolo caso”. “Vero è – continua la Corte – che la sanzione penale si caratterizza per la sua incidenza, attuale o potenziale, sul bene della libertà personale, incidenza che è, invece, sempre esclusa per la sanzione amministrativa. (…) Cionondimeno, l’impatto della sanzione amministrativa sui diritti fondamentali della persona non può essere sottovalutato”.

D’altronde, come afferma anche la Corte, l’afflittività delle sanzioni amministrative è andata crescendo negli ultimi anni e ciò si può verificare guardando l’entità delle sanzioni e le conseguenze accessorie che si accompagnano ad alcuni illeciti amministrativi, come quelli in materia ambientale.

Occorre altresì osservare, sul piano degli effetti delle sanzioni, che, a differenza dei reati, gli illeciti amministrativi non sono generalmente presidiati da tutti quegli istituti di carattere deflattivo o rieducativo, che rendono possibile una considerevole mitigazione (e talvolta l’esclusione) del trattamento sanzionatorio. Basti pensare alla sospensione condizionale della pena, alla sospensione del processo per messa alla prova, alle circostanze attenuanti generiche o alla causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: istituti che non sono previsti per le sanzioni amministrative.

Pertanto, per la Corte costituzionale “depenalizzare” non significa sempre “mitigare”: ogni qual volta ci si trovi dinanzi a un illecito amministrativo introdotto in seguito a una depenalizzazione occorre verificare – valutando l’apparato sanzionatorio nel suo complesso, comprensivo di eventuali sanzioni accessorie come la confisca, nonché la presenza o meno di istituti di carattere mitigativo come la sospensione condizionale della pena – se il trattamento sanzionatorio previsto dalla legge di depenalizzazione sia migliorativo o peggiorativo rispetto al previgente. Nel caso in cui l’effetto sia peggiorativo, la disciplina transitoria che comporta l’applicazione delle sanzioni amministrative ai fatti precedentemente sottoposti a sanzione penale viola il divieto di retroattività in malam partem di cui all’art. 25, comma 2, della Costituzione (e all’art. 7 della CEDU) ed è, quindi, costituzionalmente illegittima. È questa, peraltro, la sorte che colpisce l’art. 9, comma 6, della legge 62/2005 sull’insider trading oggetto del giudizio della Consulta [5].

Quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza in commento non è altro che uno degli inevitabili corollari che discendono dalla condivisione della giurisprudenza della Corte EDU: se ciò che conta, alla fine, non è la qualifica formale, penale o amministrativa, di un illecito, ma la sua natura, allora anche una sanzione amministrativa può essere considerata “sostanzialmente penale” per la sua afflittività e, dunque, essere soggetta al divieto di applicazione retroattiva (qualora il trattamento sanzionatorio sia deteriore).

LT



[1]              La legge 62/2005, nel depenalizzare il c.d. insider trading secondario, disponeva all'art. 9, comma 6, che le disposizioni sanzionatorie relative al nuovo illecito amministrativo si applicassero anche alle violazioni commesse anteriormente all'entrata in vigore della legge di depenalizzazione, laddove il relativo processo penale non fosse ancora definito.

[2]              Ai sensi dell'art. 25, comma 2, Cost. “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.

[3]              L'art. 1 della legge 689/1981 prevede che “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative, se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”.

[4]              Il nome trae origine dalla prima pronuncia in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha elaborato i criteri per verificare se una sanzione abbia o meno natura penale: Corte Edu, Engel e altri c. Olanda, 8 giugno 1976.

[5]              Questa la decisione della Corte costituzionale: “(…) la disposizione in questa sede censurata [ossia l'art. 9, comma 6, della legge 62/2005] – disponendo l’inderogabile applicazione retroattiva della nuova disciplina sanzionatoria ai fatti pregressi – si pone in contrasto con gli artt. 25, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 7 CEDU, nella parte in cui impone di applicare la nuova disciplina anche qualora essa risulti in concreto più sfavorevole di quella precedentemente in vigore”.