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Provincia Autonoma di Trento - Agenzia provinciale per la protezione dell'ambiente

 

Reati ambientali, quando ignorare la legge è inevitabile (e scusabile) e quando no

Un commento dell’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente a una recente sentenza della Cassazione su un caso di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi

Com’è noto la normativa ambientale – sia quella contenuta nel Testo unico ambientale, sia quella esterna a quest’ultimo – si caratterizza per fattispecie e istituti complessi, tradotti in norme dall’alto contenuto tecnico, talvolta di difficile comprensione. Per quanto il legislatore faccia sovente ricorso a disposizioni di natura descrittiva, poste all’inizio di ogni plesso normativo, capo o titolo, la formulazione dei singoli articoli risulta spesso complessa e ambigua.

Tenuto conto delle gravità delle conseguenze sanzionatorie a cui si accompagnano le violazioni ambientali, per l’operatore e per il cittadino è decisivo comprendere come ci si debba comportare, laddove si abbiano dei dubbi interpretativi o applicativi della normativa.

Ignorantia legis non excusat, a meno che...

A tal proposito, dev’essere ricordato che l’art. 5 del Codice penale prevede l’irrilevanza dell’ignoranza della legge penale: in altri termini il c.d. “errore sul precetto”, ovverosia l’inconsapevolezza che la condotta posta in essere sia penalmente illecita, è, di regola, irrilevante. Tuttavia, in base all’interpretazione fornita Corte Costituzionale nella celebre sentenza n. 364 del 1988 (Corte Cost., sent. 24 marzo 1988, n. 364), il concetto di ignoranza della legge penale del suddetto art. 5 c.p. dev’essere inteso in termini non assoluti, bensì relativi. In linea generale, infatti, in diritto penale vige il principio in base al quale può rimproverarsi a un soggetto di aver commesso un fatto solo laddove egli fosse – anche solo potenzialmente – in grado di comprendere che la sua condotta fosse penalmente riprovevole. Pertanto, l’ignoranza della legge penale scusabile è solo quella inevitabile, intesa come effettiva impossibilità di conoscere il precetto.

Concretamente si può parlare di ignoranza inevitabile quando il testo legislativo sia completamente oscuro, sussista un dubbio interpretativo non risolubile o l’atteggiamento degli organi giudiziari sia caotico. A livello soggettivo, tuttavia, la giurisprudenza è sempre stata molto rigorosa, richiedendo che il soggetto agente faccia tutto il possibile per informarsi circa l’antigiuridicità della condotta, non essendo sufficiente un atteggiamento meramente passivo, distinguendo, tra l’altro, tra il comune cittadino e il professionista, al quale si richiede mediamente una diligenza maggiore. In altri termini, si può invocare l’ignoranza inevitabile solo laddove l’agente abbia fatto tutto il possibile per verificare l’esatta estensione della disposizione penale e la violazione di quest’ultima sia dipesa da un fattore a lui non imputabile.

L’incertezza giuridica e interpretativa di per sé non implica la scusabilità

Dei principi appena enunciati ha fatto espressa applicazione la Corte di Cassazione con la pronuncia della Sezione III, sentenza 11 luglio 2019, n. 30536. La fattispecie concreta portata all’attenzione del collegio giudicante riguardava un caso di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi (art. 256, comma 2, D.Lgs. 152/2006 in relazione agli artt. 191, comma 1, e 256, comma 1, lett. a) del medesimo decreto), per aver depositato materiale da scavo senza rispettare la procedura speciale prevista – all’epoca dei fatti contestati – dalla legge 98/2013, che aveva introdotto alcune deroghe al regolamento sull’utilizzazione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti (di cui al decreto ministeriale 10 luglio 2012, n. 161).

Il ricorrente, chiamato a rispondere in concorso con un altro soggetto dei suddetti reati ascritti, contestava la pronuncia d’appello – che aveva sì assolto i due concorrenti, ma per particolare tenuità del fatto (art. 131 bis c.p.) – adducendo che la Corte non avesse tenuto in considerazione la situazione di incertezza giuridica e interpretativa, dovuta al fatto che il decreto-legge 29/2013, contenente la procedura per l’utilizzo del materiale da scavo, convertito nella legge 98/2013, era in vigore dal 28 settembre 2013, mentre la territoriale autorità ambientale aveva pubblicato solo il 27 settembre 2013 le modalità per aderire alla nuova procedura.

In sostanza il ricorrente si doleva del fatto che la Corte d’appello non avesse fatto applicazione dell’art. 5 c.p., così come interpretato dalla Corte Costituzionale, ritenendo che la mancata conoscenza del precetto penale fosse inevitabile.

Nel ritenere inammissibile il ricorso, la Suprema Corte enuncia i principi accennati. Il collegio, infatti, ribadisce che l’errore che ricade sulla fattispecie incriminatrice ha efficacia scusante “solo nel caso in cui l’ignoranza della legge penale sia inevitabile”: inevitabilità che dev’essere misurata – alla luce della pronuncia n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale – secondo criteri oggettivi e spersonalizzati. In particolare deve trattarsi di “casi di impossibilità di conoscenza della legge penale da parte di ogni consociato”, come nel caso di assoluta oscurità del testo legislativo o di caotico atteggiamento degli organi giudiziari.

Il dovere d’informazione

Tuttavia, la spersonalizzazione viene compensata da eventuali conoscenze o abilità possedute dal singolo agente. Infatti, precisa la Corte, per il comune cittadino l’inevitabilità “sussiste ogni qual volta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, il cosiddetto dovere di informazione, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia”. Il dovere di informazione è, invece, “particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività”.

L’atteggiamento rigoroso della giurisprudenza nell’interpretare il concetto di ignoranza inevitabile si rinviene anche nei passaggi successivi della pronuncia in commento.

Per il collegio, infatti, la mera ricorrenza di un contrasto giurisprudenziale intorno all’applicazione e interpretazione di una norma non è di per sé sufficiente per invocare la condizione di ignoranza inevitabile. Anzi, “il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto a un atteggiamento più attento, fino (…) all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte, permanga tale incertezza”. Insomma, il dubbio sulla liceità di un comportamento non può di per sé fondare la convinzione di liceità della condotta, la quale dev’essere indotta da fattori esterni, indipendenti dall’agente e univoci.

Concludendo, la Cassazione esclude per il caso analizzato la condizione dell’ignoranza inevitabile, ritenendo non ricorra in alcun modo una situazione di effettiva inconoscibilità del precetto penale. Invece, per la Corte ciò che il ricorrente ha dedotto – ovverosia il fatto che l’autorità ambientale avesse pubblicato solo a ridosso dell’entrata in vigore del nuovo regolamento le modalità per accedere alla nuova procedura per la gestione delle terre e rocce da scavo come sottoprodotti – è una mera eventualità, del tutto normale e ordinaria in relazione a una nuova disciplina appena entrata in vigore.

Per il Collegio giudicante, l’entrata in vigore della nuova disciplina “avrebbe dovuto rendere più cauta la condotta dell’agente, il quale, perdurando lo stato d’incertezza, avrebbe dovuto astenersi dal compimento di qualsivoglia attività, in attesa di indicazioni certe e affidabili, provenienti da organi qualificati, circa le modalità operative della nuova normativa”.

LT

 
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